Sulla rivista Antioxidants una tesi di laurea sulla risposta del riso alla salinizzazione del suolo

di Beatrice Passarelli

20 luglio 2022 - Secondo l’ultimo rapporto ONU sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo, sono 828 milioni le persone che hanno sofferto la fame nel 2021, 150 milioni in più dallo scoppio della pandemia. Ripensare le politiche agro-alimentari e puntare alla sostenibilità ambientale, economica e sociale dell’intera filiera è necessario per invertire la tendenza. In questa direzione si muove l’Unità di Ricerca di Scienze degli Alimenti e della Nutrizione UCBM, impegnata in progetti che spaziano dalla tutela della biodiversità all’agricoltura di precisione, anche per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. La ricerca condotta da Michela Molinari, oggetto della tesi magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari e Gestione di Filiera, pubblicata sulla rivista internazionale Antioxidants, ha indagato i meccanismi alla base della risposta alla salinizzazione del suolo di varietà di riso italiane caratterizzate da diversa tolleranza o sensibilità. Il fenomeno, tra gli effetti della crisi climatica, consiste nell’accumulo di sali nel terreno. Oltre alla siccità, tra le cause della salinizzazione c’è l’abbassamento del livello delle falde acquifere sotto quello del mare che provoca il richiamo di acqua marina verso l’entroterra compromettendo la crescita delle colture. Nel Nord Italia il problema ha portato questa estate alla risalita del cuneo salino nel delta del Po alla distanza record di oltre 30 chilometri, mettendo a rischio anche risaie rinomate per la produzione di risi IGP.

Per capire la diversa sensibilità al sale delle varietà prese in esame, le piante, sottoposte a stress salino, sono state oggetto di indagini fisiologiche, genetiche e molecolari volte a studiare le alterazioni indotte dalle condizioni di stress sulle radici delle diverse varietà. Secondo la ricerca, la varietà più resistente mette in atto una complessa strategia antiossidante che le conferisce maggiore tolleranza al fenomeno rispetto a quella più sensibile che, al contrario, manifesta subito un’inibizione dello sviluppo dell’apparato radicale. “Abbiamo bisogno di piante più performanti che sappiano rispondere ai cambiamenti climatici – chiosa la prof.ssa Laura De Gara, Presidente del corso di laurea magistrale in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana – Identificare i tratti che rendono alcune varietà resilienti a situazioni ambientali ostili ci consentirà di proteggere la produttività agricola dalle conseguenze della crisi climatica, trovando anche nuove strategie per salvaguardare gli equilibri dei nostri sistemi agricoli”.