di Giovanni Mottini, Università Campus Bio-Medico di Roma - “Nutrizione Individuo Popolazione”, AAVV – SEU, 2010

Le Organizzazioni internazionali: OMS, UNICEF, FAO per citare solo le più note, hanno sempre sottolineato e affrontato nei loro piani di intervento l’importanza che riveste l’alimentazione nella lotta alla povertà e per la promozione dello sviluppo umano dei paesi più svantaggiati del pianeta.

Se si ripassa lista delle dieci componenti essenziali per la messa in atto della Primary Health Care, definita nella dichiarazione di Alma Ata del 1978, si potrà notare come venga indicata l’irrinunciabilità della promozione di un adeguato sistema di approvvigionamento alimentare e di una corretta alimentazione[1] per il mantenimento di uno livello accettabile di salute di una popolazione. In tal modo viene ribadita la correlazione alimentazione-salute; che rende evidente come una strategia adeguata di prevenzione delle malattie debba poggiarsi  anzitutto sulla preservazione delle condizioni essenziali per la  sussistenza dell’organismo umano.

L’enunciato di Alma Ata, pur nella sua brevità, tocca però un altro aspetto non secondario del problema alimentare; e cioè il fatto che non si può garantire l’adeguata alimentazione di una collettività umana se questa non è nelle condizioni sociali ed economiche tali da essere in grado di approvvigionarsi del cibo di cui necessita in una logica di autosostenibilità.

Lo spirito e la lettera di Alma Ata, sottolineano infatti come la “salute” di una popolazione, nel senso più ampio del termine, poggi anzitutto sulla sua capacità di autonomia, autodeterminazione  e spirito di partecipazione.

Quanto detto finora può apparire abbastanza scontato e non risolutivo agli occhi di un pragmatico dei nostri tempi, e ciò è in parte vero. Resta però altrettanto vero che nemmeno il pragmatismo operativo, quando ha voluto impregnare di sé le logiche di intervento di aiuto ai paesi in via di sviluppo, è stato capace di attenere risultati più soddisfacenti del deprecato immobilismo declamatorio  delle istituzioni internazionali.

La lezione che si può trarre dei fatti è che le logiche di intervento, nella loro neutralità metodologica, restano sganciate dalla realtà, e dunque inefficaci, se non sono davvero dotate di una chiave di comprensione della stessa. E una chiave di comprensione si coglie; potremmo dire metaforicamente: si “raccoglie” solo quando si sta dentro, quando si percorre il sistema, e non fuori di esso.

Affermare che chi è povero molto probabilmente si alimenta anche poco, e male, appare a tutti abbastanza palese. Meno evidente è invece la correlazione opposta: che chi si alimenta poco e male diventa povero. Si tratta dunque di una affermazione che, per quanto altrettanto vera, richiede una spiegazione e un approfondimento. E questo è già mettersi sulla pista giusta per trovare la chiave.

Malnutrizione e povertà

La correlazione fra malnutrizione e povertà è in buona misura una applicazione parziale di un modello ormai ben conosciuto, che vede malattia e povertà interconnessi fra loro in un meccanismo a circolo vizioso. Le principali patologie a forte impronta sociale che affliggono i paesi del cosiddetto terzo mondo: malaria, tubercolosi e AIDS ( chiamate appunto: le Poverty Related Diseases) si rendono responsabili, oltre che dei danni all’organismo umano, di una marcata compromissione della sua dimensione relazionale[2]. Se si prende il nucleo familiare come modello, anche nella sua dimensione di cellula primaria della socialità, si può constatare come la presenza di una malattia come l’AIDS che colpisca uno o più dei suoi membri attivi (padre, madre, altri adulti contigui per parentela, come spesso succede nella famiglia allargata africana) venga a significare ben presto: invalidità, inabilità lavorativa, diminuzione drammatica di introiti economici già di per sé precari, emarginazione sociale e promiscuità, spese per cure e farmaci, mancata assistenza ai bambini, abbandono scolastico e inevitabilmente una  inadeguata alimentazione per tutta la famiglia. In altre parole i segni e sintomi  della povertà.  Le conseguenze di questi effetti ad ampio spettro sociale saranno una aumentata fragilità fisica e relazionale, e dunque una maggiore esposizione a nuove malattie che, generando nuova inabilità ed erodendo le scarse risorse economiche della famiglia, andranno così a chiudere il cerchio del circolo vizioso e ne rafforzeranno il meccanismo.

In questo panorama l’alimentazione occupa un posto certamente significativo e non eludibile sotto differenti aspetti. La sua insufficiente quantità e una  qualità scadente, insieme ad una scarsa varietà, sono infatti un indicatore attendibile del degrado socio-economico tanto del singolo quanto, altrettanto significativamente, di una collettività che sia stata risucchiata nel vortice del circolo vizioso malattia-povertà. Sulla scia di Alma Ata si può dire in positivo che garantire una adeguata alimentazione significa realizzare un intervento di grande efficacia preventiva, e dunque prioritario (e meno oneroso) rispetto a tutte le possibili forme di cura e riabilitazione, per quanto queste possano risultare efficaci.

Il circolo vizioso malattia-povertà appena illustrato pone inoltre in evidenza altri due aspetti  di primaria rilevanza ai fini della nostra analisi.

Il primo è la conferma di come  il fattore alimentazione sia sempre strettamente intrecciato con una molteplicità di dimensioni antropologiche, comportamentali  e socio-culturali, sia nella privazione come nel benessere e sazietà;  e di come pertanto possa  risultare inefficace, o addirittura dannoso, enucleare l’intervento alimentare dalle altre componenti in una logica preventiva o riabilitativa  puramente tecnico-pratica.

L’alimentazione umana, come è stato da più parti sottolineato, ma troppo poco declinato nelle sue conseguenze da chi opera sul terreno, è un fenomeno  che intercetta valenze e significati che vanno al di là della semplice soddisfazione di una necessità di sussistenza.

La seconda osservazione è invece rivolta alle caratteristiche degli attori che si muovono sul palcoscenico della malnutrizione. Guardare a questo fenomeno con gli occhi dell’esperto di sviluppo umano porta a rendersi conto che donne, e soprattutto bambini, sono le categorie umane più esposte ai danni della malnutrizione.

Gli inganni della fame

Fame e malnutrizione sono termini che vengono spesso utilizzati in modo indiscriminato per intendere  uno stesso fenomeno. In realtà è bene distinguere chiaramente il loro significato, anche  per comprendere meglio la loro correlazione.

La fame è uno stato soggettivo di necessità e malessere da privazione del cibo necessario; mentre la malnutrizione è la condizione fisica e fisiopatologia obbiettiva derivante dalle conseguenze di una alimentazione insufficiente e inadeguata.

Per quanto possa risultare sorprendente, a dispetto della confusione succitata, va tenuto presente un dato di comune esperienza che ha il suo fondamento nei meccanismi  di omeostasi dell’organismo; e cioè che  la fame, come campanello d’allarme del bisogno nutritivo, è il primo e più  naturale mezzo preventivo della malnutrizione. Evidenza dunque che, sebbene vadano spesso insieme, non sono la stessa cosa.

Ciò non impedisce che i meccanismi che la fame innesca siano sempre i più pertinenti alla risoluzione del problema alimentare.

La risposta comportamentale che il soggetto è in grado o tende a porre in atto  agli stimoli e sollecitazioni della fame, quando questa si presenta in modo acuto o cronico, dipende poi da una molteplicità di fattori, sia psicologici che di contesto culturale e socio-economico.

In una realtà di sottosviluppo umano, come quella di un paese in via di sviluppo del sud del mondo dei nostri tempi, tale risposta riflette pienamente il paradigma  di contraddittorietà e contrasto che lo caratterizza: contesto rurale-contesto urbano, villaggio di campagna-baraccopoli, tradizione-modernità, emarginazione-sovraffollamento, isolamento-promiscuità, analfabetismo e internet….

L’espressione forse più compiuta di questo paradigma di contraddittorietà nell’ambito alimentare è il cosiddetto junk-food:  cibi e bevande accessibili a quasi tutte le tasche, ipercalorici e squilibrati nei componenti, sospettosamente laconici e inaffidabili quanto a  eccipienti, coloranti e conservanti,  imposti dalle logiche di mercato d’importazione delle grandi multinazionali. Ormai stabili nelle strade e nelle case delle periferie delle megalopoli dei paesi in via di sviluppo stanno dilagando fino ai villaggi più reconditi più facilmente dei farmaci e dei generi di prima necessità.[3]

Ingannare la fame in questo modo fa del junk-food  uno dei principali indagati di un fenomeno sul quale i più prestigiosi studiosi di nutrizione a livello mondiale stanno accedendo un campanello d’allarme: l’epidemia di obesità, diabete e conseguenti patologie cardiovascolari che dilaga nel sud del mondo e che sta diventando una nuova emergenza per la salute dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e un nuovo pesante onere assistenziale[4]-[5]. Un problema di salute che si affianca ai più tradizionali quadri epidemiologici delle malattie infettive tropicali e che convive paradossalmente con una prevalenza sempre altissima, sia nelle campagne che negli slums  delle periferie delle grandi città, delle sindromi classiche da malnutrizione carenziale infantile: marasma e kwashiorkor.

Malnutrizione e sviluppo umano: putting children first

Il ruolo centrale dei bambini, o più correttamente della coppia madre-bambino,  nel dramma delle malnutrizione umana è stato già evocato nella descrizione  del circolo vizioso malattia-povertà.

L’elevata mortalità infantile che registrano i PVS trova una delle sue principali cause dirette nella elevata incidenza di malnutrizione grave, ed è forse ancora più rilevante e quasi insondabile l’effetto indiretto che questa svolge nell’aumento di suscettibilità a molte patologie infettive letali del bambino: malaria e tubercolosi per prime.

Vi è però anche un effetto della malnutrizione meno appariscente ma altrettanto devastante che riguarda il suo impatto sulle capacità intellettive e di apprendimento del bambino che ha vissuto o vive una condizioni di malnutrizione più o meno grave.

La correlazione fra deficit alimentare grave del bambino ed effetti sulle sue capacità intellettive è un dato di osservazione che risale già agli anni sessanta; da quando cioè si è fatta più viva l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale alle condizioni di vita nei PVS e dunque alla ricerca di soluzioni efficaci a tali problemi.

Da una approfondita metanalisi dei primi anni ’70[6] emerge l’evidenza che in bambini che hanno attraversato condizioni  severe di malnutrizione al di sotto dei due anni di vita gli indicatori di valutazione dello stato intellettivo: quoziente di intelligenza, competenza intersensoriale e analisi di un largo spettro di  abilità linguistiche, percettive e motorie manifestavano livelli significativamente inferiori rispetto ai gruppi di controllo di bambini o  di compagni di classe della stessa età e condizioni di vita.

Ulteriori evidenze sono emerse dagli studi su modelli di sviluppo cerebrale sia in animale che nell’uomo, che mostrano l’esistenza di maggior danno intellettivo laddove il periodo di  malnutrizione si realizzi nelle fasi di più rapido  sviluppo e maturazione del sistema cerebrale; che nell’uomo sembra intercorrere da circa metà gestazione fino ad almeno il nono mese di vita.

Da qui dunque anche la considerazione di come non debbano essere trascurati gli effetti di una malnutrizione intrauterina e intergenerazionale; nella quale dunque è la diade madre-feto a dover essere oggetto di intervento, con tutti le ricadute sociali, in termini di strategie educative e di promozione della donna e di protezione della famiglia, oltre che di salute pubblica, che ciò comporta.

E’ stato inoltre constatato come un adeguato stato di nutrizione sia essenziale per preservare un buon livello di attenzione e per una appropriato grado di rensponsività del bambino al contesto relazionale, sia verso il mondo animato che inanimato.  Una delle manifestazioni cliniche più ovvie di una malnutrizione severa nell’infanzia è infatti la drammatica combinazione di apatia e irritabilità che manifestano i bambini malnutriti[7].

E’ poi intuitivo, oltre che facilmente esperibile da chiunque, il fatto che una nutrizione insufficiente, e in particolare nel bambino scolarizzato, comporti una maggiore affaticabilità e l’incapacità a sostenere i tempi fisiologici di attenzione mentale.

Ne sanno qualcosa le missionarie di tanti paesi  africani che gestiscono scuole per i bambini meno abbienti nei PVS: la prima cosa di cui ha bisogno uno scolaro appena arrivato a scuola, spesso  dopo svariati chilometri di cammino a stomaco vuoto, è un bel bicchiere di latte, o un piatto di pappa di cereali; senza i quali  qualsiasi sforzo didattico  rischia di essere tempo perso e fiato sprecato…

La malnutrizione non viene mai da sola. Si tratta di una affermazione che condensa la  costante esperienza di chi opera sul campo nel contesto dei differenti scenari di un paese in via di sviluppo: slums di megalopoli del sud del mondo, campi profughi, aree rurali…

Si dovrebbe meglio dire che essa rappresenta la punta di un iceberg, l’epifenomeno e stigma  di  una fase del percorso biografico in cui il soggetto entra - e ne esce – inevitabilmente toccato e segnato in tutte le sue dimensioni.

Nello schema qui riportato

Tabella I: il circolo vizioso povertà-malnutrizione e i fattori coinvolti

vengono messi in luce tutti i fattori in grado di incidere sul determinismo della condizione fisica di malnutrizione. Come si può notare sull’evento malnutrizione afferiscono in modo diretto o indiretto fattori sia di natura socio-economica che generano povertà, con il corredo delle cause che a loro volta la determinano, sia aspetti più sociologici come l’ emarginazione sociale e promiscuità fino a toccare  l’influsso dei  ruoli  genitoriali e l’abbandono scolastico. A sua volta la malnutrizione, come si è visto, è in gradi di segnare negativamente e in modo permanente lo sviluppo fisico e psichico del bambino, condizionando in tal modo il suo futuro in termini di opportunità e capacità lavorative.

Lo schema successivo aiuta  inoltre a comprendere come una forma specifica di malnutrizione quale il  kwashiorkor sia rivelativa di specificità sociali e culturali del contesto familiare in cui si presenta.  Un dato costante come lo svezzamento inadeguato, causa diretta di questa forma di malnutrizione, rimanda infatti a stimmate sociali, abitudini e tabù alimentari, credenze, livello scolastico della madre, modi vita, grado di educazione. 

Ne consegue in definitiva l’instaurarsi di un circolo vizioso povertà-malnutrizione che altro non è se non la versione più applicativa e analitica del già citato circolo vizioso malattia-povertà. 

Tabella II: I fattori che concorrono alla manifestazione del kwashiorkor

Questo modello analitico ci risulta poi particolarmente  interessante proprio per il rilievo che dà agli aspetti relazionali e al ruolo della famiglia. Si deduce infatti, in positivo rispetto al modello,  come la presenza di figure genitoriali  e la stabilità della struttura familiare siano indubbi fattori di protezione nei confronti del rischio malnutrizione-malattia per il bambino di un PVS.

Per il suo armonico sviluppo psico-fisico non si richiede infatti la sola presenza del cibo, ma una  presenza, quella materna, che garantisca un adeguato e constante apporto di quelle stimolazioni psico-affettive che accompagnano e danno senso all’assunzione del cibo e che, in definitiva, sono addestramento alla vita.

Come altrove è già stato messo in rilievo, vale anche qui il fatto che “la figura materna ha un ruolo essenziale….giacché il cibo costituisce il legame in cui, per il bambino, si rende tangibile la realtà della cura e della tenerezza, senza la quale un essere umano non si può sviluppare un atteggiamento di fiducia nei confronti del mondo”[8].

Questa “fiducia nei confronti del mondo” di cui parla Rof Carballo, e che può apparire un espressione  piuttosto generica e scontata, va in realtà interpretata come un segno essenziale di guarigione dalla malnutrizione; guarigione da quella  dimensione  “esistenziale” del fenomeno  malnutrizione che è meno appariscente ma altrettanto reale.

A riprova di ciò valga l’aforisma coniato da uno studioso del settore per indicare il primo segno di recupero del bambino in terapia di riabilitazione nutrizionale: the child who smiles is on the road to recovery[9], frutto senza dubbio di una esperienza sul campo dai contenuti sorprendentemente suggestivi sul piano antropologico.

Lottare contro la malnutrizione: si comincia dalla vita

Risulta chiaro, a questo punto, che se la malnutrizione non viene mai da sola, sarebbe errato pensare che  si possa “mandare via da sola”, o prevenirla sul solo piano di sanità pubblica come un semplice fenomeno epidemiologico.

In un suggestivo studio su una nuova formula nutrizionale per la riabilitazione dei bambini gravemente malnutriti, realizzato in un ospedale del nord dell’Uganda, viene sottolineato l’importanza di un approccio riabilitativo non puramente nutrizionale[10]. Limitarsi a somministrare, per tutto il tempo necessario al recupero delle condizioni di normalità, un latte nutrizionale prodotto in occidente e fornito dalle agenzie internazionali di sviluppo, per poi restituirlo alla madre e al suo contesto sociale, senza che l’intervento riabilitativo tocchi la “vita reale” di questi ultimi, significa probabilmente salvare dalla morte per fame un bambino oggi  per  farne un candidato ad una nuova malnutrizione domani. Va “riabilitato” l’intero contesto umano in cui è sorto il problema; cominciando dal coinvolgimento della madre nel processo riabilitativo, che diventa pertanto anche formativo-educativo,  fino all’allestimento di un preparato nutrizionale pensato sui prodotti agricoli e naturali del contesto di vita dei beneficiari; tale cioè da garantire una sua reale e permanente disponibilità in uno spirito di auto-sostenibilità.

In questa stessa logica, sebbene in contesto di supporto all’assistenza, si muove il progetto DREAM della Comunità di Sant’Egidio. La lotta alla malnutrizione è vista come strumento  per garantire una reale efficacia dell’intervento terapeutico antiretrovirale, non solo come componente di supporto al protocollo terapeutico, ma come fattore di successo nella relazione di cura e per il suo effetto positivo sull’atteggiamento del paziente nei confronti del desiderio di vivere e di affrontare gli ostacoli di una esistenza compromessa dalla malattia, ma non per questo vana o insignificante[11].

Quanto affermato in merito alle strette interazioni esistenti fra nutrizione, sviluppo intellettivo del bambino, funzioni  parentali e “salute globale” del nucleo familiare e del suo intorno sociale conduce alla convinzione che lo scenario privilegiato per realizzare una efficace strategia di prevenzione della malnutrizione e  di promozione di condizioni e stili di vita sani sia un’istituzione primaria e ubiquitaria come la scuola.

In essa si ritrovano i principali attori di una strategia di costruzione del futuro di un popolo: famiglie, insegnanti e alunni. In questo triangolo ogni vertice è chiamato a svolgere una funzione sia di soggetto attivo protagonista, sul duplice versante di dispensatore di processi e messaggi formativi (anche lo scolaro nei confronti dei genitori!),  che di monitor e sentinella sulle situazioni di rischio che possono toccare membri della comunità scolastica. La scuola, in tal modo, viene ad assumere la duplice funzione di luogo di promozione e di protezione dei suoi componenti.

La scuola stessa però, ha bisogno a sua volta di essere promossa affinché possa essere investita di tale compito cruciale. Ciò può avvenire solo all’interno di paesi dotati di un sistema socio-economico non necessariamente florido ma sufficientemente sano ed equilibrato da rispettare e sostenere  le priorità per il benessere di un popolo: educazione, salute, sviluppo economico interno. Piuttosto che armamenti per la difesa e concessioni commerciali a potenze economiche estere, come avviene per molti PVS.

I popoli dei PVS rientrano per la quasi totalità in quei tre miliardi di persone  che le stime dell’ Integrated Pollution Prevention and Control definiscono come residenti in aree rurali e dipendenti principalmente dall’agricoltura[12]. Il potenziale di produzione agricola e dunque alimentare  di molti di questi paesi è ancora in gran parte inutilizzato e, laddove lo è, non è stato pensato non per il beneficio della popolazione locale ma per il commercio estero e ad appannaggio dell’interesse economico di pochi.

La recente crisi alimentare mondiale ha significativamente innescato le proteste dei rappresentanti dei PVS che reclamano un impegno autentico della comunità internazionale per la promozione dello sviluppo rurale e il miglioramento della produzione agricola locale piuttosto che il ricorso massiccio ma sterile all’aiuto alimentare esterno. Trade, not aid è diventato il motto di questa corrente di pensiero.

Ma sviluppo economico e agricolo sono comunque fenomeni e meccanismi che, per agire virtuosamente a favore dello sviluppo di un popolo, e non a sue spese o al di sopra di questo,  necessitano di protagonisti locali, competenti e consapevoli della loro responsabilità sociale.

Ancora una volta dunque torna prioritaria una strategia educativa lungimirante e autorevole.

Alimentazione e sua sicurezza, sviluppo agricolo e suo ambiente, ma soprattutto una attenzione autentica al territorio e la sua gente (sistema educativo e comunità che ne è la protagonista) restano dunque i pilastri portanti del processo di sviluppo umano che il tempo presente ci affida come compito.  

 


[1] Dichiarazione di Alma Ata sull’Assistenza Sanitaria Primaria, capitolo VII – par. 3,  Alma Ata, URSS 6-12 settembre 1978

[2] Cfr. sul tema: Farmer P., Infections and inequalities, the modern plagues. University of California Press, 1999.

[3] Si è coniato il termine di “occidentalizzazione” della dieta di popolazioni africane, asiatiche e dell’America del Sud del mondo per identificare gli effetti di questo fenomeno di spiazzamento delle abitudini  tradizionali di questi popoli a favore di cibi e bevande introdotte dall’esterno. Fenomeno che ha evidenti cause nella globalizzazione dei mercati e dei commerci e nelle migrazioni umane.  Cfr. Sobngwi E., Mauvais-Jarvis F., Vexiau P., Mbanya JC., Gautier JF., Diabetes in Africans. Part 1: epidemiology and clinical specificities. Diabetes  Metab. 2001 Dec; 27(6): 628-34.

[4] Popkin B., Global nutrition dynamics: the world is shifting rapidly toward a diet linked with noncommunicable diseases, Am. J. Clin. Nutr. 2006; 84: 289-298.

[5] Mendez M, Popkin B., Globalization, Urbanization and Nutritional Change in the Developing World, Journal of Agricoltural and Development Economics, Vol. 1, No. 2, 2004, pp. 220-241.

[6] Birch H., Malnutrition, learning and intelligence, Am J. Pub. Health 1972 June; 62 (6): 773-784.

[7] Amcoff  S., The impact of malnutrition on the learning situation, in: World Nutrition and Nutrition Education,      UNESCO-Oxford University Press Publication, Oxford Medical Publication, 1980

[8] Rof Carballo J., Urdimbre afectiva y enfermedad. Introduccion a una medecina dialogica, Labor, Barcelona, 1961

[9]  Dean R.F.A., The effects of malnutrition on the growth of young children, Mod. Probl. Pediatr.,5:111-122, 1960

[10] Greco L. Balungi J., Amono K., Iriso R., Corrado B., Effect of a low-cost food on the recovery and death rate of malnurished children, J. Ped. Gastr.  Nutr. 43:512-517, October 2006, Philadelphia

[11] Magnano San Lio M. et al., The DREAM model’s effectiveness in health promotion of AIDS patients in Africa, Health  Promot Int. 2009 Mar; 24(1): 6-15

[12] Min. Affari Esteri, L’Italia con l’ONU contro la fame nel mondo, Celebrazioni ufficiali italiane della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2008, p. 9