Il Membro del Comitato Tecnico-Scientifico per l’emergenza-xylella del Ministero Politiche Agricole e Forestali è intervenuto al workshop dell’Università Campus Bio-Medico di Roma sull’olio d’oliva. "Rapidità di diffusione del batterio non consente di escludere passaggio anche in altre regioni”. All’evento presentato ‘Oliver’, sistema sperimentale che in 90 secondi è capace di scovare adulterazioni e contraffazioni anche minime dell’‘oro giallo'
“Bisognerà imparare a convivere con la malattia degli ulivi, perché l’eradicazione ormai è impossibile. I coltivatori stanno vivendo momenti di grande difficoltà, ma devono comprendere che se non vengono messe in atto immediatamente tutte le misure per il contenimento del batterio e del vettore, la situazione potrebbe degenerare ancora di più in tempi brevi”. È il messaggio che Stefania Loreti, membro del Comitato Tecnico-Scientifico istituito dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per l’emergenza-xylella, lancia intervenendo al workshop EVOlution: tecnologie al servizio della filiera dell’olio d’oliva, appena conclusosi presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. L’evento è parte del progetto TIPITEC, promosso dall’agenzia LazioInnova della Regione Lazio e da cinque atenei romani, di cui il Campus Bio-Medico è capofila.
“Gli studiosi che stanno lavorando sulla malattia – ha spiegato Loreti nel suo intervento al workshop – sono estremamente pessimisti sulla velocità con cui la malattia si è trasmessa: ad aprile 2014 erano 8mila gli ettari interessati, più 5 focolai intorno a Lecce. Ma già nel luglio 2014 gli ettari interessati erano diventati 23mila. E la malattia va sempre aumentando: secondo l’UE, attualmente, Lecce non è più zona di eradicazione, ma di contenimento. Certo, nessuno di noi ha la sfera di cristallo, ma il rischio che la malattia possa estendersi oltre i confini regionali pugliesi è molto concreto, perché questo tipo di batteriosi ha modalità di disseminazione che la rendono difficile da fermare, una volta arrivata”.
L’esperta ha comunque rassicurato sul fatto che l’epidemia avrà un impatto sulla produzione, ma non sulla qualità dell’olio e delle olive. “L’unico modo per prevenire è attenersi alle indicazioni del MIPAAF”, ha ripetuto, aggiungendo che "ad oggi, l’attenzione va posta soprattutto sull’insetto vettore, la cosiddetta ’sputacchina’, perché è l’elemento principale di trasmissione del batterio. Ci sono varie modalità per combatterlo. È prioritario intervenire con misure agronomiche per cercare di equilibrare le piante: potature adeguate, interventi di arieggiamento sul terreno, monitoraggio costante”. D’altra parte, casi come quello registrato in Puglia per gli olivi si erano verificati solo un’altra volta in proporzioni simili, molti anni fa in California. Ma i ricercatori statunitensi, nonostante forti investimenti, non sono ancora riusciti a debellare la malattia. Anche per questo, il membro del Comitato tecnico-scientifico del MIPAAF ha concluso la propria relazione ricordando che “gli studiosi americani che lavorano da anni su queste problematiche su vite e agrumi sostengono che non si è in grado di forzare la natura per giungere a soluzioni in tempi brevi. È impossibile anche con la ricerca. Non esistono rimedi miracolosi, specialmente con le batteriosi”.
Un grido d’allarme recepito anche dai produttori. “Ho seguito l’intervento dell’esperta MIPAAF con grande attenzione e preoccupazione – ha detto Loriana Abbruzzese, Presidente di Pandolea, Associazione nazionale delle Donne Produttrici e Tecniche dell’olio extravergine d’oliva – perché, in realtà, tutte le regioni possono essere coinvolte. La mia azienda si trova nelle Marche, dunque non troppo lontano dall’area coinvolta. Anche se finora non ci sono state date indicazioni specifiche da seguire, stiamo monitorando la situazione e confidiamo nei passi in avanti della ricerca scientifica per limitare i danni o comunque avere istruzioni utili per la prevenzione”.
Tra gli spunti più interessanti dell’incontro, la presentazione di un dispositivo sperimentale in grado di percepire eventuali contraffazioni dell’autentico extravergine di oliva made in Italy. Ribattezzato non a caso Oliver dai suoi creatori, gli ingegneri dell’Unità di Elettronica per Sistemi Sensoriali dell'Università Campus Bio-Medico di Roma coordinata dal Prof. Giorgio Pennazza, il sistema è portatile e consente un risparmio economico notevole rispetto alle tradizionali tecniche di analisi. Bastano circa 90 secondi e 4 millilitri di olio per ottenere risultati ottimali. Inoltre, Oliver può essere adoperato anche da operatori non esperti ed è in grado di percepire che qualcosa non va nel campione analizzato fino a una soglia minima del 5 per cento rispetto al volume totale. “La difesa delle produzioni italiane di qualità, particolarmente in campo agro-alimentare – ha sottolineato l’Ing. Marco Santonico, uno dei ‘padri’ di Oliver –, è divenuta oggi una priorità a livello nazionale. L’etichetta ‘prodotto italiano’, infatti, nasconde sempre più frequentemente sofisticazioni anche nocive per la salute, certamente non comparabili alle eccellenze tipiche del nostro Paese. È oggi più che mai necessario, quindi, introdurre metodi di controllo rapidi, semplici, economici ed efficaci per scongiurare queste manipolazioni. Oliver cerca di rispondere a questa esigenza”.
L’accento sul valore dell’extravergine nostrano è stato posto dal Prof. Maurizio Caciotta, Ordinario di Misure all’Università di Roma Tre, secondo il quale "l’Unione Europea ha dato una definizione di olio extravergine d’oliva che non ci soddisfa e che penalizza molto il nostro Paese. Forse è stato fatto per consentire l'ingresso nel mercato di aziende di Paesi che non hanno la cultura produttiva dell’olio extravergine di oliva. Ciò oggi consente la presenza nei supermercati di olii che rispettano le norme europee, ma che non sono, a livello di ‘sentimento’, paragonabili all’extravergine di oliva tradizionalmente richiesto dalla dieta mediterranea. Sono olii ‘industriali’, quelli da 5-6 euro al litro. I produttori italiani di miscele ad alta qualità lamentano che i costi vivi di produzione di un vero olio extravergine di oliva non sono inferiori ai 17-20 euro al litro, che sul bancone significano anche 45-50 euro al litro. Per questo, oggi, le miscele EVO di grande qualità vengono acquistate quasi unicamente fuori dall’Italia, soprattutto negli USA. In un mercato dove non c’è stato ‘inquinamento' al ribasso”.
Ha concluso le relazioni l’intervento del pluripremiato chef Fabio Campoli, fondatore del Circolo dei Buongustai, invitando a guardare con più fiducia a un uso ‘moderno’ dell’olio in cucina. “La nostra storia gastronomica è importante – ha spiegato Campoli – ma dobbiamo essere pronti a non criticare le innovazioni. Concentriamoci sul poco ma buono, cambiando le tecniche di cottura, interpretando l’extravergine come alimento dalla duplice funzione: di conduttore termico e di condimento. Comunque, non ne serve mai troppo, come si insegnava anni fa. Ne basta poco, ma di qualità”. Sui criteri per la scelta di ristoranti di qualità, Campoli ha specificato che “non è detto che un piatto buono possa essere sano. Noi cuochi ultimamente andiamo tanto in televisione, ma forse sarebbe utile che tornassimo a fare semplicemente i cuochi, evitando di improvvisarci a fare altro”. E sulla giungla delle recensioni online dei locali: “Tutti, sospinti dall’onda mediatica, oggi tendono a improvvisarsi giornalisti enogastronomici. Così, a volte, si fanno i conti con giudizi affrettati o con recensioni ingiustamente penalizzanti. Per questo, mi sento di dire che chi scrive, prima di dare un giudizio, farebbe bene a ragionarci un po’ più su”.