Il vicario regionale dell'Opus Dei per l'Italia ha celebrato la Santa Messa in apertura dell'inaugurazione dell'a.a. 2019-2020

8 novembre 2019

Il Vangelo della messa ci parla di un amministratore al quale il padrone ha affidato la cura dei suoi beni. La lettura di questo brano mi ha fatto pensare che tutti in questa comunità universitaria hanno qualcosa che è stato loro affidato:

  • i docenti hanno ricevuto in affidamento gli studenti
  • i medici e il personale infermieristico, i malati
  • il personale amministrativo la cura e il funzionamento dell'università
  • e anche gli studenti hanno ricevuto in affidamento il futuro proprio e della società

Tutti infine sono chiamati a viverlo con lo stesso spirito che il Prelato dell'Opus Dei, il 3 ottobre dello scorso anno, riassumeva con queste parole: "La speranza e l’ottimismo devono fondarsi, in ultima analisi, sul fatto che questa università e le attività che vi si svolgono sono motivate da un profondo senso di servizio".

In un discorso fatto all'Università di Navarra negli anni '70, san Josemaría diceva che La sua missione [dell'università] non è offrire soluzioni immediate. Ma, nello studiare con profondità scientifica i problemi, smuove i cuori, fa uscire dalla passività, sveglia forze assopite e forma cittadini disposti a costruire una società più giusta.

E quindi come diceva il Rettore nell'inaugurazione dello scorso anno, dobbiamo farci la domanda: Quale traccia stiamo lasciando nei ragazzi che ci seguono e lavorano accanto a noi? (…). Diceva anche: Crediamo che l’Università sia un luogo dove la cultura divenga servizio all’uomo e non pretesto di autoaffermazione o esercizio di potere.

C'è un rischio concreto di cui dobbiamo essere tutti coscienti. Il rischio di andare avanti a testa bassa: ricerca, docenza, sala operatoria, pulizie, ambulatorio, lezioni, studio, … Si passa da una cosa all’altra e non vedo le tante cose buone che accadono, che faccio, che lasciano traccia.

Di conseguenza perdo speranza e ottimismo e entusiasmo; le motivazioni che mi dovrebbero guidare sfumano nel tempo, non vengono rilanciate.

L’organizzazione del servizio sanitario (che può esasperare procedure e protocolli e limita a volte il tempo da dedicare al singolo paziente); la preoccupazione per far quadrare i conti o per garantire il profitto necessario al mantenimento della struttura; i turni a volte pesanti; le richieste continue; ecc.; tutto questo può portare a ritmi di lavoro logoranti e non rimangono le energie per curare le relazioni personali con la calma e l’attenzione che sarebbe dovuta a ciascuno.

Cosa ci può aiutare? Prendersi cura di sé.

Vale per il docente, il personale medico, il personale amministrativo, gli studenti.

Gesù stesso - ed era Dio -, che percorreva incessantemente le strade della Galilea e della Giudea, che diceva di non avere un posto dove posare il capo, ci dà esempio di questo nel Vangelo: a volte aveva bisogno di ritirarsi a pregare, da solo, aveva bisogno di prendere una pausa nella quale stare con i suoi discepoli.

Il medico, ad esempio, che si prende cura dei suoi pazienti non può trascurare di prendersi cura di se stesso, della propria salute, della propria vita familiare, della propria vita spirituale. Non può permettere che ritmi intensi di lavoro e l’investimento emotivo che è richiesto dai pazienti, logorino le energie e gli prosciughino l’anima.

Un docente che è preso dal suo ambito di ricerca, dalla sfida di nuove scoperte, non può per questo dimenticare quanto gli studenti si aspettino da lui.

Uno studente non può pensare solo a sé stesso, a mettersi in competizione con i suoi colleghi, dimenticando che il futuro che gli è stato affidato non è solo suo.

Per questo è auspicabile che l’espressione “prendersi cura di sé” possa stimolare  ognuno a prendersi momenti di riflessione, momenti di formazione, per pensare a come si sta sviluppando, svolgendo, la propria vita. E non bastano letture, seminari o corsi accademici. Sono più utili e rasserenanti momenti di meditazione, di silenzio, di confronto pacato con altri, di preghiera per chi crede in Dio e confida in Lui. Questo è anche uno dei motivi della presenza di una Cappellania all'interno dell'Università. Ma molte volte questo confronto può avvenire anche con un collega, con un amico.

Chi si prende cura di sé per diventare una persona più saggia, più paziente, più misericordiosa e più forte, sarà migliore in tutto: in casa, in ospedale, in ambulatorio, nell'aula, nello svolgere il suo lavoro di accoglienza con un sorriso.

Utilizzando un concetto caro a San Josemaría, potremmo dire che per una persona che ha delle responsabilità (e qui tutti ce l'hanno) la cosa più importante è lui stesso.

Il resto di questa giornata sarà un susseguirsi di discorsi, attività, saluti, ecc. Per questo l'obiettivo di questa omelia è quello di lasciare un solo spunto da portare a casa e sul quale poi continuare a riflettere: se vogliamo aiutare gli altri e aiutare noi stessi, è necessario che ci prendiamo cura di noi stessi trovando questi momenti in cui rigenerare sia il nostro corpo, ma anche il nostro spirito. Sono certo che anche la propria moglie o il marito, i propri figli, e anche i suoceri ne saranno lieti.

Affidiamo al Beato Alvaro Del Portillo, vero promotore di questa Università, i nostri desideri, la nostra capacità di prenderci cura di noi stessi e degli altri, la riuscita della missione che tutta la comunità universitaria di propone.