Omelia don Matteo Fabbri, Vicario dell'Opus Dei per l'Italia Centro-Meridionale
Ez 34, 11-16, Ps 22; Gv 10, 11-16
"Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia." (I Lett.)
Queste parole, che la Chiesa applica a tutti i santi e beati "pastori", per molti di noi che lo hanno conosciuto personalmente, appaiono come un perfetto ritratto del Beato Álvaro, che era pastore e Padre.
È bello ricordarlo così, e, possiamo dirlo con serenità, ne abbiamo bisogno. Ne abbiamo bisogno perché il mondo di oggi è privo di punti di riferimento, di padri e di veri maestri. Ne abbiamo bisogno qui al Campus, per portare avanti con lo spirito degli inizi questa attività che è nata da un suo suggerimento.
I padri sono coloro che passano la vita ai propri figli, che lanciano i figli ad affrontare le sfide dell’esistenza, e lo fanno aprendo strada, andando avanti, preparando il cammino per chi seguirà.
Anche per don Álvaro è vero ciò che accade a ogni padre: prima di essere tale, egli è stato figlio. Egli è stato "figlio fedelissimo e successore" di San Josemaría: ne ha incarnato in pienezza lo spirito e il messaggio, ha assimilato in profondità, in tanti anni di vita al suo fianco, gli insegnamenti del Fondatore dell’Opus Dei, fino a diventare la sua ombra, pur nella evidente differenza di carattere. È stato uomo fedele.
Una fedeltà edificata sulla grazia di Dio, innanzi tutto. Lui, che era persona di talenti davvero fuori dal comune, viveva un profondo abbandono nelle mani di Dio, a tal punto da saper diffondere attorno a sé pace e fiducia anche in momenti davvero difficili.
Chi di noi ha avuto la fortuna di incontrarlo in vita, ricorda che ogni volta che si stava con lui anche se per pochi istanti, si notava immediatamente che ti lasciava qualcosa: un maggior ottimismo soprannaturale, più senso vivo della vicinanza di Dio, più fiducia nel futuro, più desiderio di santità. Si capiva che questo “effetto” del semplice stare con lui non era prodotto da chissà quale tecnica psicologica: era un semplice contagiarsi del suo modo di vivere la fiducia in Dio.
Ma questa fiducia soprannaturale non lo portava affatto ad essere lontano dalla realtà. Non solo perché era profondamente ingegnere..., ma perché non perdeva mai la percezione effettiva della situazione che doveva affrontare, e sapeva d’altra parte che un contenuto immancabile della vita di chiunque su questa terra è costituito dai limiti, dagli errori, dai difetti e dai peccati di ciascuno.
Proprio per questo coltivava un senso vivo della contrizione, del dolore per il peccato. Ricordo che in una Santa Messa da lui presieduta nella basilica di Sant’Eugenio rimasi molto colpito dal tono con il quale pronunciava, all’inizio della celebrazione, le parole "Signore, pietà!". Sulle sue labbra non era la ripetizione meccanica di una rubrica liturgica, ma era una vera e propria invocazione che scaturiva dal profondo del cuore.
E così pure nel suo esortarci ad abbracciare ideali grandi ed impegnativi, lo faceva tenendo conto del carico inevitabile dei limiti di ciascuno. Una volta che lo incontrai per caso nella sede centrale dell’Opera (nel dicembre del 1990), ebbi modo di stare qualche minuto con lui, e gli chiesi che cosa avrei potuto riferire da parte sua alle persone che, al mio ritorno, avrei incontrato a Milano. E lui rispose: “siamo in fieri” (disse in latino: per indicare che siamo in crescita, in evoluzione) e precisò: "siamo peccatori, ma vogliamo essere santi".
I limiti personali, gli errori e i peccati, grazie alla capacità di rettificare e di chiedere perdono (a Dio, innanzi tutto) non erano per lui, e non sono neppure per noi, ostacolo insormontabile nel cammino verso la santità, non portano e non devono portare a ridimensionare l’ideale. Credo che questo insegnamento sia importante per tutti noi, non solo a livello personale, ma anche pensando all’impegno per continuare a portare avanti il Campus. È inevitabile che noi stessi e gli altri, ci scontriamo con i nostri limiti, con i nostri difetti. Non esistono persone perfette, e nessuno di noi pretende di essere tale. Esistono invece – e quanto sono preziose – persone capaci di ricominciare, di rettificare, di chiedere scusa quando è necessario, di imparare dai propri errori, di far tesoro delle correzioni e osservazioni ricevute dagli altri. E così, non soltanto si portano a compimento progetti ambiziosi, ma soprattutto ci si santifica realizzandoli. E noi, consapevoli che questa iniziativa è nata da don Álvaro, possiamo certamente contare sulla sua intercessione, per superare i nostri difetti, anche a partire dai suggerimenti e dalle “correzioni” che riceviamo dai nostri colleghi e colleghe, siano essi di pari grado, inferiori o superiori. Uno dei segni che il lavoro è davvero santificato, è che esso è vissuto non sotto il dominio della logica del potere o della affermazione di sé e del proprio successo, ma con una vera, cordiale e affabile collaborazione, che è espressione appunto di spirito di servizio.
Don Álvaro sapeva rettificare, e proprio per questo sapeva contemperare sempre la carità con la verità: diceva le cose con affetto, con delicatezza, ma diceva...la verità. E così sapeva far in modo che lo slancio dell’ideale non sfumasse nello scoraggiamento. E di fronte ai limiti e ai peccati personali, di fronte, in una parola, alla vita vera di tutti i giorni, utilizzava una preghiera che anche Papa Francesco ha ripetuto nel messaggio diretto ai pellegrini recatisi a Madrid in occasione della sua beatificazione: gracias, perdón, ayúdame más. Grazie: gratitudine fiduciosa a Dio; perdono: capacità di chiedere scusa e di rettificare; aiutami di più, aiutami ancora: appoggio costante e fiducioso sulla grazia di Dio.
Così don Álvaro ha fatto, e fatto fare, cose grandi in tutto il mondo.
Anche noi, con il suo sostegno e seguendo i suoi passi, saremo in grado, imparando dai nostri limiti e dai nostri stessi errori, di compiere cose grandi a beneficio della nostra società.
La Madonna, a cui don Álvaro era tanto devoto, ci assiste e oggi lo fa in modo speciale, attraverso la presenza, di cui ringraziamo, della Madonna del Carmine de’ Noantri. La Madonna ci accompagna, con la sua tenerezza materna.