Oggi è una celebrazione particolare per cui chiediamo al Signore la protezione, la benedizione, l'amore con tutti i suoi infiniti significati, per l'anno che inizia, per la memoria di questi trenta anni, rievocando le parole che il Beato Alvaro del Portillo vi rivolse e che credo davvero abbiano accompagnato e custodiscano anche il segreto di questi trenta anni. E di questo conservate giustamente la memoria, sia per la gratitudine, sia per i tanti segni della presenza del Signore, della sua luce e dei tanti miracoli che attraverso di lui e attraverso di voi ha compiuto. Guai a dimenticarsi di lui perché poi questo porta sempre ad una grande sopravvalutazione di sé e ci fa dimenticare che siamo soltanto portatori di un amore che è nostro, ma che è suo. Quando diventa solo nostro ci facciamo del male, quando ci ricordiamo che è suo e che è nostro, quindi che lo ha affidato a noi, allora impariamo anche a spenderlo bene perché è suo e perché impariamo che il nostro è quello che dobbiamo regalare agli altri affinché sia davvero nostro.
Non potrò trattenermi con voi per la continuazione della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, in cui conferirete la laurea honoris causa a una persona che aiuta a capire l'importanza di una memoria, la storia, la sofferenza - tra l'altro anche in questo momento così difficile per il popolo ebraico e per tutta la Terra Santa -. Anche conservare la memoria di tanta sofferenza è una giusta preoccupazione, come ha detto ieri sera con molta intelligenza un artista: occorre conservare, anche ‘la memoria è futuro’. Non è soltanto conservare la memoria del passato e insieme tanta gratitudine ma la memoria del futuro, ricordarsi che c'è futuro, quindi cercarlo. Il cristiano non può essere fatalista perché sa che c'è il futuro, che qualcuno viene: la bellezza dell'Avvento che stiamo vivendo è renderci conto dei trenta anni della presenza che c'è e vi ha accompagnato, che vi ha illuminato, che vi ha aiutato a compiere qualcosa di straordinario.
L'amore compie sempre qualcosa di straordinario. Quando lo riduciamo a capacità personale, a protagonismo, a esibizione, giochiamo a ribasso perdendo l’orizzonte. Quando, invece, ci rendiamo conto della nostra piccolezza, di tutti, perché siamo davvero poca cosa, compiamo delle cose grandi - e credo che appunto qui dentro in tanti hanno trovato un po' di luce nella sofferenza e c’è chi la trova anche quando non ce n'è più. Parlavo con Don Robin dell'hospice e lì, dove sembra che proprio non ci sia più nessuna speranza, c'è la speranza, perché c’è la cura e la cura è quella che vi fa capire la presenza del Signore in tanti modi. Non è mai soltanto esplicita. In molti casi, attraverso la cura tanti hanno trovato davvero il volto del Signore medico buono degli uomini, come nella tradizione antica bizantina ‘il medico buono degli uomini’. Attraverso la cura hanno visto, hanno sentito, hanno toccato la presenza del Signore; anche quando non ne conoscono il nome, ne sentono la cura. Non ne riconoscono il nome ma riconoscono la cura e lì passa tutto. E penso che questo sia anche l'avvento di tanti segni della sua presenza, della forza del suo amore che ha curato sempre, ha guarito e non ha mai lasciato solo nessuno. Credo che questo sia davvero il senso del vostro impegno, della vostra scelta, perché questo è quello che fa la differenza.
Non è mai soltanto un problema tecnico, non è mai un problema amministrativo – è anche ovviamente un problema tecnico, anche un problema amministrativo, non c'è dubbio – ma c'è qualcosa di più che però per i cristiani non è accessorio. A volte, qualcuno - troppo preso dalla logica tecnica amministrativa - pensa che la compassione sia addirittura pericolosa: la compassione è pericolosa, sì, perché non puoi mandare a casa la folla, perché devi fare qualcosa, perché non puoi dire ‘non posso’ e ‘non ci sono più i soldi, non posso far niente’. Non lo puoi dire perché la compassione accompagni fino alla fine, come sempre, anche quando non conviene. Se Alvaro del Portillo avesse detto ‘ragioniamo così’, non ci sarebbe stato tutto questo. La compassione è quel di più, ci fa realizzare l'Avvento e ci fa vedere quello che di per sé non c'è ma c'è, ce lo fa cercare anche nella memoria del futuro che ci farà trovare quello che oggi ancora non c'è, appunto la compassione!
Mi ha colpito molto il rapporto del Censis di qualche giorno fa che, contemporaneamente con l'inizio del periodo dell'Avvento, in maniera lapidaria ma in modo efficace ci ha definito ‘sonnambuli’. Siamo dei sonnambuli, apparentemente vigili ma incapaci di vedere i segni che mettono fortemente a rischio la tenuta del sistema e che incombe nel futuro. Si diventa sonnambuli in tanti modi, ci sono varie forme di sonnambulismo (poi c'è anche la variante ecclesiastica). È un virus molto complicato: c’è anche il sonnambulismo clinico, accademico, diverse varianti. Qui non potete essere sonnambuli perché c'è quella grande sveglia che è la sofferenza, poi si può diventare anche sonnambuli davanti alla sofferenza che in fondo è l'atteggiamento dei discepoli che dicono "è una folla, ma come possiamo fare noi?”. In questo caso peraltro è una folla di tanti malati, no? È quindi la scelta della compassione, che un po’ si sceglie e un po’ si sente. È anche un grande esercizio: se siamo vittimisti non abbiamo compassione per gli altri, la usiamo tutta per noi ed è molto pericoloso, per noi in primo luogo. Ci rende sonnambuli, per esempio, la paura del futuro. Quand'è che comincia la paura del futuro? Quando la compassione vince la paura del futuro devi far qualcosa perché ‘quella folla è mia, perché quella sofferenza la sento mia’, questo vuol dire compassione. Quando uno dice ‘io sto bene, tu stai male, mi dispiace, arrivederci’ quella non è compassione, è una caricatura. La compassione unisce, in questo senso credo sia un grande Avvento che ci chiede di guardare il futuro, di cercare il futuro, di svegliarci. Il Signore davvero ci rende vigili e questo è quello che chiedo con voi, ricordando e celebrando questi primi trenta anni. Scegliendo, perché la compassione si sceglie. Quando io vedo qualcuno che sta male posso diventare anche come il sacerdote sonnambulo, oppure posso fermarmi seguendo quel primo buon samaritano che è Gesù e diventandolo anche io perché così trovo il mio prossimo.
Qui avete trovato il prossimo, anche per la sicurezza che date, appunto anche quando sembra che niente valga la pena, la sicurezza che riuscite a trasmettere a chi è nella pandemia della fragilità è ancora più forte. Ecco è questa allora la memoria del futuro perché è il tesoro, la vera eredità che avete. Penso alla grande visione dell'Opera, alla grande tradizione dell'Opera, vi aiuti a guardare al futuro, non sia soltanto una memoria del passato ma sia davvero la memoria del futuro. Concludo leggendo le parole di allora che anche oggi, in questo Avvento, ci indicano il nostro cammino. Disse il Beato Alvaro del Portillo nel 1993: “Nella guida di questa iniziativa di ambito universitario intendete proseguire anzitutto all'espansione del regno di Dio (…) grazie allo Spirito dell'Opus Dei, che insegna a santificare il livello professionale, a cercare la santità nel compimento dei doveri professionali, familiari e sociali e ad aiutare gli altri ad essere santi, questo centro docente e di ricerca scientifica si impegnerà a offrire un'attenzione particolare alla formazione di medici e infermieri affinché, oltre a lavorare bene con provata competenza professionale e tecnica, ispirino la propria attività a una vera rettitudine di intenzione e ad un autentico spirito di servizio”. La compassione è la sintesi di tutto ciò.
Che il Signore vi doni tanti anni in cui ricordare il passato che serve per investire nel presente e nel futuro, perché i tanti Natali possano aiutare noi e chi è nella sofferenza a vedere la presenza di Dio.