E’ ormai da tempo che da più parti si sta evidenziando la necessità di un ritorno ad un’idea di università come luogo dove si coltivano tutti i campi della cultura e del sapere

Non si tratta, evidentemente, di un semplice ritorno al passato, cosa impossibile del resto, ma di un recupero dell’antica idea di universitas tenendo conto di tutto il progresso fatto nell’ambito delle scienze. 

Anche le cosiddette “scienze esatte” si stanno aprendo ad idee, come ad esempio quella del “bello”, che sono patrimonio tipico delle arti quali la pittura, la musica ecc. Non si tratta solo del fatto, da tempo riconosciuto, che anche una formula matematica, oppure un’equazione che coglie un aspetto fondamentale della realtà fisica, nella sua semplicità e profondità può arrivare ad essere considerata anche bella, e nemmeno si tratta solo di analizzare i fondamenti oggettivi dell’esperienza estetica. 

Si tratta piuttosto di recuperare l’unità della conoscenza umana, che non è soddisfatta di una conoscenza parziale delle cose, ma tende a conoscere le cose nella loro interezza. 

Ci sono dimensioni dell’esperienza umana che solo l’arte riesce ad esplorare

Per dirla con uno dei massimi pittori del ‘900, Paul Klee, “L’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile l’invisibile”

Se le cose stanno così, una università che voglia essere universitas non può trascurare la dimensione del bello, la dimensione artistica ed i suoi rapporti con le scienze.

Queste sono le idee che hanno ispirato il simposio. Ricordiamo anche che il Simposio, l’omonima opera platonica, è stata il dialogo in cui si è per la prima volta affrontato il tema della bellezza: che cosa essa sia, come si manifesti e che funzioni svolga. 

In continuità dunque con quella tradizione, proseguiamo un’indagine che è all’origine della cultura e della scienza occidentali.

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