Per i prossimi 5 anni, insieme al CREA, all’Università di Parma, a due università africane e alla Onlus ‘Golfini Rossi’ si occuperà dell’alfabetizzazione nutrizionale, lo sviluppo di tecniche agrarie e la dotazione di tecnologie necessarie per rendere più efficienti la produzione, l’utilizzo e la conservazione degli alimenti. Obiettivo: migliorare le condizioni d’igiene, salute e la qualità della vita dei 20mila abitanti dei villaggi che gravitano attorno al monastero benedettino di Mvimwa
Roma, 9 novembre 2017 – L’Università Campus Bio-Medico di Roma ha appena siglato un Memorandum of Understanding per intraprendere, nei prossimi 5 anni, un programma di cooperazione internazionale in Tanzania dedicato allo sviluppo di progetti educativi sul fronte agro-alimentare e per la creazione di micro-imprese agricole in un quadrante particolarmente povero e arretrato del Paese africano, che gravita attorno al monastero benedettino di Mvimwa (100 chilometri dal lago Tanganica).
L’accordo: educazione agro-alimentare e sulla salute per una migliore qualità di vita
L’accordo, sottoscritto in co-partnership con il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia agraria (CREA), l’Università di Parma, l’Associazione ‘Golfini Rossi’ Onlus e due atenei africani, la Strathmore University (Kenya) e la St. Joseph University (Tanzania), consentirà di approfondire scientificamente le abitudini alimentari dei circa 20mila abitanti della zona, che comprende 10 villaggi limitrofi al monastero, per sviluppare progetti di educazione alimentare e alla salute e di dotare i villaggi dei mezzi in grado di migliorare le possibilità di reperimento, produzione, utilizzo e conservazione degli alimenti.
Tra il personale sanitario dei partner coinvolti, l’ospedale pubblico del capoluogo e i dispensari dei villaggi è stata nata una proficua collaborazione sui temi di malnutrizione e salute. La ‘pappa di Parma’, una formulazione a base di alimenti tipici africani ideata dall’Università di Parma, è stata proposta come utile alternativa per la malnutrizione infantile. Nel contempo, l’obiettivo è anche quello di favorire la nascita di micro-imprese agricole e di incentivare la bio-edilizia per incidere positivamente sulla qualità della vita e della salute della popolazione.
Per i prossimi 5 anni questo distretto dell’Africa centro-orientale diventerà una sorta di grande ‘laboratorio sperimentale’ in cui, grazie alla collaborazione tra esperti africani ed italiani, saranno indagati e ridefiniti gli standard nutrizionali della popolazione, proprio a partire da prodotti e abitudini alimentari tipiche del luogo. Verranno portati avanti progetti di ‘alfabetizzazione’ nutrizionale, igienico-sanitaria e agraria, anche mediante l’utilizzo di mezzi di comunicazione come radio e web.
“In realtà – spiega la Prof.ssa Laura De Gara, Presidente del Corso di Laurea in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma (UCBM) – già durante quest’anno, grazie alla collaborazione di 12 studenti del nostro ateneo, abbiamo iniziato a valutare con test specifici fabbisogni e carenze nutrizionali della popolazione, definendo anche gli standard raggiungibili di qualità delle cucine e delle mense. Inoltre, con il contributo del CREA, abbiamo testato l’efficacia dell’utilizzo di essiccatori a pannelli solari per offrire agli abitanti una miglior conservazione del cibo e abbiamo valutato la qualità dei terreni coltivabili. Grazie alla partnership avviata con la firma di questo Memorandum contiamo di poter continuare a lavorare per incidere in modo significativo sul futuro alimentare e agrario dei 20mila abitanti presenti nell’area del monastero”.
I dati sulle abitudini alimentari e igieniche
Rendere più efficienti e sane le proprie abitudini agro-alimentari è un bisogno primario per queste persone, che per il 77 per cento sono agricoltori e per il 60 per cento vivono con meno di 2 dollari al giorno. La carenza di norme igieniche è quasi assoluta, tanto da conservare spesso i prodotti che mangiano sui pavimenti o all’esternodelle abitazioni, con i cibi che vengono preparati spesso tra fango e polvere.
Significativi anche i dati statistici emersi sulle abitudini alimentari per ciascuno dei quattro sottogruppi identificati dai ricercatori (monaci, contadini dei villaggi, lavoratori in altri ambiti e studenti). Tutta la popolazione consuma quantità eccessive di sale, anche per le procedure di conservazione degli alimenti usate; solo l’8 per cento dei monaci e il 29 per cento dei contadini ha accesso a più di 2 litri di acqua al giorno, con l’80 per cento degli studenti che ne consuma al massimo mezzo litro. Una difficoltà imposta dalla presenza appena 2 pozzi in ogni villaggio senza pompe di pescaggio e dell’assenza generalizzata di elettricità, attiva nel solo agglomerato di Kate.
Rari sono carne, pesce e uova, sostituiti dai legumi, con un apporto calorico giornaliero che arriva a stento a mille calorie per i lavoratori e i contadini dei villaggi, rimanendo sotto le 1500 calorie per gli studenti e appena sopra le 1600 per i monaci.
Il piano d’azione del Memorandum
Il piano d’azione comprenderà la produzione di dispense e libri di testo, la preparazione di una rete di formatori sul posto, l’avvio di corsi sulla corretta produzione, trasformazione e conservazione dei cibi e sull’educazione alla salute con momenti formativi gratuiti aperti a tutta la cittadinanza anche in ciascuno dei 10 villaggi, distanti ognuno tra i 3 e i 5 chilometri dal monastero-base di Mvimwa. Specifici interventi formativi saranno rivolti al personale medico ed infermieristico che opera nei dispensari dei villaggi. Inoltre, parte del progetto è l’organizzazione agraria degli orti nei 10 villaggi, con ciascuno di questi ultimi che verrà dotato di essiccatori alimentati da pannelli solari e di un forno a legna per la cottura comune dei cibi.
“Quello che abbiamo riscontrato con le nostre analisi – aggiunge De Gara – è che gli abitanti di queste zone rurali non hanno mai ricevuto un’informazione sufficiente sulle buone abitudini alimentari, né un orientamento tecnico per produrre e consumare in modo adeguato cibo valido a livello nutrizionale. È proprio qui che vogliamo agire attraverso la nostra iniziativa”.
“Punti di riferimento saranno il nuovissimo laboratorio di nutrizione e il futuro laboratorio di igiene presso la ‘Solyda School’", sottolinea il Prof. Leopoldo Sarli, direttore del Centro Universitario per la Cooperazione Internazionale dell’Università di Parma, "che verranno attrezzati con numerosi dispositivi, tra cui una bilancia tecnica, sistemi di controllo di temperatura e umidità, cucina e frigorifero, un armadio ventilato, sistemi di monitoraggio microbiologico e della sanificazione e termometri ambientali. Rappresenteranno un modello per il trasferimento di conoscenze relative alla corretta alimentazione, conservazione dei cibi e igiene personale e dell’ambiente”.
Gli altri work-camp UCBM di cooperazione internazionale in Africa
Quello che i 12 studenti in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana dell’Ateneo hanno vissuto tra il 25 luglio e il 7 settembre scorsi in Tanzania non è l’unico work-camp di cooperazione internazionale dell’Università Campus Bio-Medico di Roma in Africa: al momento, infatti, ne sono stati condotti anche in Repubblica Democratica del Congo, Cameroun, Uganda, Kenya e Madagascar.