L’Università Campus Bio-Medico di Roma è l’unico ateneo italiano a essere stato coinvolto nella sperimentazione di fase 3, che ha interessato 133 centri dislocati in 19 Paesi del mondo. I risultati, appena pubblicati sul New England Journal of Medicine, sono stati presentati all’EASD di Lisbona. Il professor Paolo Pozzilli, docente UCBM e tra i principal investigator della ricerca: “Il farmaco si è dimostrato capace di abbassare la glicemia e l’emoglobina glicata, riducendo la dose quotidiana d’insulina necessaria ai pazienti. Questo può significare un minor rischio di complicanze a lungo termine”. La nuova compressa, che promette di migliorare la qualità di vita dei pazienti cancellando gli sbalzi nei loro livelli glicemici, si è dimostrata efficace anche per evitare l'ipoglicemia, stabilizzare la pressione e favorire la perdita di peso. Sarà in commercio entro un anno
Roma, 13 settembre 2017 – ‘Basta un poco di pillola e lo zucchero va giù’: potrebbe essere questa, invertendo l’ordine dei termini di un noto motivetto cinematografico, la sintesi dei sorprendenti risultati ottenuti dai ricercatori che hanno condotto uno studio internazionale multicentrico sul Sotagliflozin, che si candida a divenire un nuovo e promettente farmaco anti-diabete. Una singola compressa, assumibile per via orale, è stata affiancata alla quotidiana e obbligatoria supplementazione di insulina in pazienti affetti da diabete di tipo 1, costretti a vita a queste punture dalla prematura morte delle beta-cellule del loro pancreas, non più in grado di rifornirli autonomamente di questo importante ormone. La speciale pasticca, presa la mattina a colazione, si è rivelata capace di tenere a bada il glucosio nel sangue e di conservare la propria efficacia pur con un minore apporto di insulina. Un dato significativo per la qualità della vita di pazienti cronici che soffrono spesso, nonostante l’assunzione giornaliera dell’ormone, di sbalzi nei livelli glicemici.
Il trial clinico di fase 3 è durato 24 settimane e vi hanno preso parte 1.402 soggetti con diabete di tipo 1, reclutati da 133 centri di ricerca dislocati in 19 Paesi del mondo. Gli esiti, pubblicati sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine e appena presentati al Congresso Europeo sul Diabete (EASD) in corso a Lisbona, vedono tra i maggiori principal investigator coinvolti il professor Paolo Pozzilli, Ordinario di Endocrinologia e Malattie Metaboliche presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma (UCBM). “La sperimentazione – spiega il docente – ha accertato che questo nuovo farmaco, che fa parte della classe dei cosiddetti inibitori del riassorbimento del glucosio a livello renale, consentendone l’eliminazione attraverso le urine, è in grado di ridurre il suo assorbimento anche a livello intestinale. I pazienti che hanno partecipato al trial clinico, grazie all’assunzione di questa compressa hanno registrato una significativa riduzione del fabbisogno insulinico e un notevole miglioramento nei livelli dell’emoglobina glicata, che è indice di buon controllo del metabolismo: in particolare, il farmaco è riuscito ad abbassare la loro glicemia e a mantenerla stabile nonostante, nel contempo, fosse stato ridotto loro l’apporto d’insulina”. “Questo – aggiunge Pozzilli – può significare un minor rischio di complicanze a lungo termine”. Non solo: il Sotagliflozin si è rivelato anche efficace nel ridurre le ipoglicemie, favorire la perdita di peso e controllare la pressione arteriosa nei soggetti in cui era elevata.
Il meccanismo di azione del farmaco è semplice: di norma, dopo un primo filtraggio renale, il glucosio (ma con esso anche il sodio, ecco perché la compressa è efficace pure per normalizzare la pressione) viene riassorbito nel sangue e quindi torna in circolo, almeno fino a quando il livello glicemico non supera quota 180. Oltre tale limite, il glucosio viene eliminato dall’organismo con le urine e le feci. Il Sotagliflozin modifica questa ‘soglia’ glicemica di riassorbimento dello zucchero nel sangue, facendola scendere a 130. Quando la glicemia raggiunge tale livello, scatta l’inibizione delle due proteine trasportatrici del glucosio, che agiscono di solito una nel rene e l’altra nell’intestino (SGLT1 e SGLT2) riportandolo in circolo. Con la loro disattivazione, l’organismo evita di ‘riprendersi’ gli zuccheri nel sangue, consentendone l’eliminazione definitiva.
Gli italiani con diabete di tipo 1 sono circa 300mila (fonte: Ministero della Salute). Nel mondo ne sono colpiti 29 milioni di persone, ma il fenomeno è in crescita. Il successo della sperimentazione rappresenta, quindi, una potenziale rivoluzione nel campo della cura di questa patologia autoimmune, detta anche ‘giovanile’ perché di solito colpisce soggetti nell’infanzia o nell’adolescenza ed è generata dalla morte progressiva delle loro beta-cellule pancreatiche, che scomparendo a poco a poco lasciano questi soggetti senza la ‘razione’ giornaliera di insulina, necessaria per smaltire gli zuccheri assunti con l’alimentazione.
La nuova molecola appartiene a una famiglia di farmaci finora testati solo per la cura del diabete di tipo 2, quello che insorge a seguito di obesità o di cattive abitudini alimentari. I trials clinici sui ‘parenti’ del Sotagliflozin avevano dimostrato recentemente – in particolare per due di essi, l’Empagliflozin e il Canagliflozin – la capacità di ridurre di un terzo la mortalità nei pazienti con diabete di tipo 2 per tutte le cause. Anche per questo, la sfida che si schiude ora per i ricercatori sarà quella di “verificare sperimentalmente se questa molecola, come le ‘cugine’ validate per il diabete di tipo 2, possa avere effetti analoghi sulla mortalità anche nei pazienti con diabete giovanile”, conclude Pozzilli.
La pillola ‘sugar-killer’ sarà con tutta probabilità disponibile in commercio entro un anno.