Scoprire gli effetti della micro-gravità sulle cellule del sangue: l'obiettivo del progetto SERISM

27 ottobre 2016 - A maggio 2017, con la missione spaziale di NASA e ASI denominata Expedition 52-53, decollerà verso la Stazione Spaziale Internazionale anche un progetto di ricerca UCBM per scoprire gli effetti della micro-gravità sulle cellule del sangue. Sulla navicella spaziale che partirà dal John F. Kennedy Space Center della NASA a Cape Canaveral, in Florida, in direzione della Stazione Spaziale Internazionale, ci sarà proprio il sangue del prof. Mauro MaccarroneOrdinario di Biochimica presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. A bordo, sarà presente una speciale macchina dotata di otto contenitori con i suoi campioni ematici, vari composti e tutta la tecnologia necessaria per capire come la micro-gravità modifica le caratteristiche delle cellule ossee umane.

Del viaggio farà parte anche l’astronauta italiano Paolo Nespoli. E sarà, probabilmente, proprio lui a dare avvio alla procedura di attivazione dei micro-pistoni e dei cilindri dell’apparecchiatura, che inietteranno – con un processo automatico a tempi pre-programmati a Terra dai ricercatori – vari composti nel sangue presente nei contenitori. Al termine, il tutto sarà ‘congelato’ sottozero, affinché le istantanee che fotografano le modificazioni subite dalle cellule ematiche al trascorrere delle settimane nello spazio possano essere osservate e analizzate a Terra dagli scienziati. Un’analisi che mostrerà, quindi, il progredire nel tempo degli effetti della micro-gravità sulle cellule del sangue. Obiettivo: trovare conferme sull’origine dell’osteoporosi così da poterla curare e, soprattutto, prevenire.

Il progetto SERISM vede tra i partner coinvolti anche l’Università di Tor Vergata e quella di Teramo, oltre a NASA ed ESA. Come spiega il prof. Maccarrone, principal investigator di SERISM, “scopo primario dell'esperimento è quello di affrontare in modo innovativo il problema dell’indebolimento dell’apparato scheletrico umano”. Una questione che tocca innanzitutto gli astronauti, le cui ossa, dopo alcuni mesi in assenza di gravità, perdono in modo importante densità ossea.

La ricerca non sarà però limitata agli astronauti, ma punterà anche a trovare nuove possibilità per combattere l’osteoporosi: quel processo che, in parte per la diminuzione degli stimoli del movimento degli arti, in parte per problemi nel funzionamento di particolari molecole regolatrici, gli “endocannabinoidi”, genera dopo i 50 anni la carenza di ‘materiale’ osseo nell’apparato scheletrico. L’idea è quella di individuare i “segnali” responsabili dell’indebolimento osseo, gli endocannabinoidi, e sfruttarli nello spazio – come mai fatto prima - per comprendere meglio il meccanismo della patologia.

In questo senso, lo spazio fungerà da acceleratore dei processi cellulari: come per altri casi, offrirà la possibilità di valutare e ‘fotografare’ modificazioni e alterazioni molecolari che sulla Terra si verificano molto più lentamente con il progredire dell’età.