Li rivela uno studio UCBM coordinato dal professor D’Amelio e appena pubblicato su Nature Communications
3 aprile 2017 - La morte dell’area del cervello che produce la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per alcuni meccanismi di comunicazione tra i neuroni: sarebbe questa la causa del morbo di Alzheimer secondo il sorprendente studio pubblicato su Nature Communications da un’équipe di ricercatori coordinati da Marcello D’Amelio, responsabile dell’Unità di Ricerca di Neuroscienze Molecolari UCBM, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Santa Lucia e il CNR di Roma.
L’origine della patologia, che solo in Italia colpisce mezzo milione di persone oltre i 60 anni di età, non avrebbe a che fare quindi con l’ippocampo, la struttura del sistema nervoso centrale coinvolta nelle funzioni della memoria e su cui i ricercatori si sono focalizzati negli ultimi 20 anni.
Nessun ricercatore aveva finora pensato che potessero essere coinvolte altre aree del cervello nell’insorgenza della patologia. “L’area tegmentale ventrale – spiega il docente UCBM – non era mai stata approfondita nello studio della malattia di Alzheimer, perché si tratta una parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico”.
I ricercatori si sono resi conto che – come in un effetto domino – la morte delle cellule cerebrali deputate alla produzione di dopamina provoca il mancato arrivo di questa sostanza nell’ippocampo, causandone il ‘tilt’ che genera la perdita di memoria. Lo studio ha evidenziato, già nelle primissime fasi della malattia, la morte progressiva dei soli neuroni dell’area tegmentale ventrale e non di quelli dell’ippocampo. Un meccanismo risultato perfettamente coerente con le descrizioni cliniche della patologia di Alzheimer fatte dai neurologi.
Una seconda importante scoperta
“Abbiamo verificato – chiarisce D’Amelio – che l’area tegmentale ventrale rilascia la dopamina anche nel nucleo accumbens, l’area che controlla la gratificazione e i disturbi dell’umore, garantendone il buon funzionamento. Per cui, con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore”.
Questi risultati confermano le osservazioni cliniche secondo cui, fin dalle primissime fasi di sviluppo dell'Alzheimer, accanto agli episodi di perdita di memoria i pazienti riferiscono un calo nell’interesse per le attività della vita, mancanza di appetito e del desiderio di prendersi cura di sé, fino ad arrivare alla depressione. Che sarebbe quindi una spia dell’Alzheimer e non una conseguenza.
Alzheimer e Parkinson, obiettivo comune per la cura
Le prospettive che questo studio schiude sono molteplici. “Il prossimo passo – spiega ancora D’Amelio – dovrà essere la messa a punto di tecniche neuro-radiologiche più efficaci, in grado di farci accedere ai segreti custoditi nell’area tegmentale ventrale, per scoprirne i meccanismi di funzionamento e degenerazione. Inoltre, i risultati ottenuti suggeriscono di non sottovalutare i fenomeni depressivi nella diagnosi di Alzheimer, perché potrebbero andare di pari passo con la perdita della memoria. Infine, poiché anche il Parkinson è causato dalla morte dei neuroni che producono la dopamina, è possibile immaginare che le strategie terapeutiche future per entrambe le malattie potranno concentrarsi su un obiettivo comune: impedire in modo ‘selettivo’ la morte di questi neuroni”.