Dalle soluzioni sperimentate in Africa le possibili innovazioni
di Leandro Pecchia - Ordinario di Bioingegneria elettronica e informatica
L’innovazione in medicina si avvantaggia ogni giorno di più di tecnologie abilitanti di ultima generazione che, applicate ai dispositivi medici, potranno realizzare una vera rivoluzione nella sanità a favore dei pazienti.
Avendo la sostenibilità, sia economica che ambientale, come orizzonte, ho intrapreso negli ultimi anni un percorso di ricerca sul campo in Africa, volto a realizzare dispositivi medici resilienti a quelle che sono le tre grandi sfide della sanità Africana: mancanza di personale specialistico, problemi di approvvigionamento condizioni di lavoro diverse da quelle Europee o Statunitensi, per le quali i nostri dispositivi sono costruiti.
Talvolta queste condizioni si presentano anche nei Paesi a reddito elevato, soprattutto durante pandemie o guerre. Si pensa spesso a soluzioni a basso costo, ma la verità è che il costo è solo una delle variabili, altrimenti risolveremmo tutti i problemi con le donazioni.
Negli ospedali in Benin, Uganda, Etiopia, Sudafrica e Nigeria ho visto che quanto studiamo in Europa per progettare, regolamentare e gestire dispositivi medici si trovi spesso in contraddizione con la reale mancanza di una efficiente rete di assistenza, di pezzi di ricambio, di conoscenze e di standard.
Gli studi sul campo che ho effettuato mi hanno permesso di sperimentare soluzioni tecnologiche innovative per la salute, economicamente accessibili, sostenibili anche dal punto di vista ambientale e, soprattutto, adatte al contesto locale.
Al contempo, mi hanno permesso di comprendere che ciò che consideriamo lo standard alle nostre latitudini, in altre aree del pianeta possono diventare un ostacolo allo sviluppo, alla salute, oltre che un impegno che i governi locali non sono in grado di onorare.
Uno dei dati più significativi mostra come Usa, Europa e Giappone rappresentino l’80% del mercato globale dei dispositivi medici, a fronte di una popolazione di poco più di 900 milioni di persone, appena l’11.3% della popolazione mondiale.
Nel mondo però, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ben il 75% della popolazione globale vive in paesi a basso reddito e la metà di queste persone non ha accesso adeguato alle cure essenziali. Per questo con il mio gruppo di lavoro, dapprima nelle università del Regno Unito in cui ho lavorato dal 2011 e poi dal 2022 all’Università Campus Bio-Medico di Roma, sta sviluppando soluzioni che, ambiscono a modificare il paradigma attuale, guardando al futuro in due modi.
Il primo, contribuendo a restituire alle popolazioni meno ricche il diritto alla salute; il secondo, offrendo soluzioni sostenibili e facilmente gestibili in fase di produzione di manutenzione e di dismissione, in assenza di una supply chain efficiente.
Con un’app installata su un semplice smartphone possiamo, per esempio, valutare la reazione della pupilla, che può identificare un trauma cranico.
È possibile realizzare con stampanti 3D accessori di uso frequente difficili da reperire su molti mercati come, ad esempio, filtri per i concentratori di ossigeno o valvole per palloni intrauterini per arrestare emorragie post partum, fino a delle semplici ma importanti vesti per neonati intessute con fibre ottiche per trattare e risolvere l’ittero nei primi giorni di vita.