Intervista a Padre Occhetta, segretario generale della Fondazione “Fratelli Tutti”

di Francesco Unali

Il “farsi prossimo” è un tema chiave dell’enciclica “Fratelli Tutti”. Che legame c’è tra fraternità e responsabilità?
La responsabilità nasce da un appello dell’io verso un tu. La responsabilità si nutre di fraternità, il movimento interiore è quello della compassione.
Nell’enciclica Fratelli tutti il Papa scrive che «per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso» (n. 154).

Per nutrire la fraternità occorre passare per la via stretta della spiritualità e della cultura: In sanità, per esempio, occorre chiedersi: «Chi è l’ammalato titolare di diritti?».
Chi ha risorse per pagarsi le cure oppure tutti? Nel volume “Il Dono e il Discernimento” (Rizzoli) Mariella Enoc diceva che occorre valutare le risposte pratiche che si danno ad esempio nel modo in cui uno Stato cura gli immigrati, i carcerati, i poveri, le famiglie bisognose, i bambini abbandonati, gli anziani, i rifugiati.

L’Italia può dirsi rispettosa di questa nuova etica? Esiste una via d’uscita: credere, insegnare e testimoniare che dalla responsabilità di tutti si possa costruire un mondo migliore. Come ricordava Eleanor Roosevelt, una tra i protagonisti della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo del 1948: «Occorre ricominciare da posti piccoli, vicino a casa, il quartiere in cui si vive, la scuola che si frequenta, la fabbrica, il campo o l’ufficio in cui si lavora»,

Chi fa ricerca opera spesso in un ambito di assoluta razionalità. Quali opportunità può offrire agli scienziati l’idea di una Fraternità universale che sgorga dalla fede cristiana?
Ci sono due possibili strade: il principio di autonomia nell’etica medica cresce in dialogo con la propria coscienza — «la legge scritta da Dio nel cuore dell’uomo» (Gaudium et spes, n. 16) — e nell’adesione alla «libera obbedienza dell’uomo alla legge di Dio [che] implica effettivamente la partecipazione della ragione e della volontà umane alla sapienza e alla provvidenza di Dio» (Veritatis splendor, n. 41). Coltivare la coscienza morale è una possibile via per camminare insieme a tutti gli uomini e donne che cercano il bene e difendono la dignità della persona. Inoltre, la fraternità universale la si può scoprire attraverso la ricerca scientifica che diventa per la Chiesa una forma di evangelizzazione e di amore, di personalizzazione della medicina e di rigore per la cura.
La scienza è una forma di carità e di fraternità universale.

Con il proliferare delle tecnologie, anche nella relazione di cura, quanto diventa importante sapere ascoltare l’altro?
La personalizzazione non sempre cresce con la tecnicizzazione della medicina, che è sempre più concentrata sull’azione del “curare” (to cure) la malattia e sempre meno su quella del “prendersi cura” (to care) del mondo affettivo, relazionale, psicologico e spirituale del paziente. La cura ha bisogno di volti e di mani, di sorrisi e di sguardi, di studio e di ricerca qualificata. L’etimo di “ascolto” è legato al concetto di attenzione. Bisogna prestare attenzione a cosa il paziente sta trasmettendo, al di là delle parole osservando il modo in cui dice ciò che ci sta comunicando. Sono tre i passaggi necessari per ascoltare, che vuol dire “sentire con l’altro”: anzitutto quello del silenzio interiore, poi osservare attentamente ciò che va oltre la parola, infine relazionarsi empaticamente. È questa la soglia antropologica in cui la tecnologia non può arrivare.