Nella dopamina la chiave per predire la malattia due anni prima
di Paola Raschielli
21 maggio 2021 - Uno studio condotto da IRCCS Santa Lucia di Roma, Università Campus Bio-Medico di Roma e Università di Torino, da poco pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, ha verificato il legame tra l’Alzheimer e le compromissioni dei circuiti dopaminergici in pazienti con disturbo cognitivo lieve, importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia e di altre forme di demenza. ll team composto dalla dott.ssa Laura Serra, dal prof. Marcello D’Amelio e dal prof. Marco Bozzali ha dimostrato che la riduzione delle connessioni dell’area tegmentale ventrale (VTA) verso altre aree del cervello anticipa di circa due anni i danni cerebrali e la comparsa dei primi sintomi clinici. Una finestra temporale all’interno della quale è possibile utilizzare farmaci e contrastare quindi con anticipo l’evoluzione della malattia. Lo studio clinico è il risultato di una ricerca traslazionale iniziata nel 2017, quando il gruppo coordinato dal prof. D’Amelio, ordinario di Fisiologia Umana Ucbm, aveva individuato nella VTA, legata alla produzione di dopamina, uno dei primi eventi nel corso di sviluppo di malattia mediante una sperimentazione pre-clinica. "In questo studio ci siamo focalizzati sulle connessioni che si stabiliscono tra la VTA e il resto del cervello - spiega D’Amelio - e su come queste, a causa di un danno in VTA, si modificano nel corso di malattia. Il risultato è stata la sorprendente capacità che le lesioni della VTA hanno nel predire lo sviluppo della malattia di Alzheimer".
Attraverso l’utilizzo di neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici, due tecniche indolori e non invasive, è stata analizzata l’attività della VTA in 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve ed è stato monitorato per 24 mesi l’evolvere della condizione dei pazienti. In 16 dei 35 pazienti il disturbo cognitivo lieve è convertito in malattia di Alzheimer e questa conversione è stata anticipata da una significativa riduzione della connettività della VTA verso zone cerebrali critiche per i sintomi della malattia. Nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, invece, la VTA ha mantenuto inalterata la sua funzione.
Lo studio ha anche confermato la maggiore specificità di questa metodica nella diagnosi della malattia. Infatti, i pazienti con atrofia dell’ippocampo, area del cervello deputata alla memoria, ma senza una riduzione dell’attività della VTA, non hanno sviluppato la malattia di Alzheimer confermando i precedenti studi che riscontravano nella sinergica presenza di atrofia cerebrale e disconnessione di VTA eventi legati alla presentazione precoce dei sintomi clinici della malattia.