Secondo le previsioni dell’Oms il traguardo potrebbe essere raggiunto nel 2030

di Irene De Marzo

22 luglio 2022 - Sono appena due le malattie eradicate nella storia umana, e l’epatite C potrebbe entrare a far parte di questo ristretto club nel 2030, secondo l’obiettivo posto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il 28 luglio è la giornata mondiale dell’epatite, voluta dall’Oms nell’anniversario della nascita di Baruch Blumberg, il biochimico statunitense premio Nobel per la scoperta, nel 1967, del virus dell’epatite B e che sviluppò il primo vaccino. Sarà l’occasione per ricordare il fenomeno delle epatiti, malattie virali che colpiscono ogni anno nel mondo circa 325 milioni di persone, la maggior parte delle quali ignora di essersi ammalata. In particolare l’epatite C rappresenta un nemico insidioso perché, come altre forme di epatite, può cronicizzare ed evolvere in maniera problematica, come accade in oltre il 70% dei casi.

Si parla di cronicizzazione quando dall’insorgere dell’epatite, l’ipertransaminasemia, ossia la presenza di transaminasi alte, persiste per più di sei mesi – spiega Antonio Picardi, professore associato di Medicina interna UCBM e responsabile della Uoc di Medicina clinica ed epatologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico – L’epatite cronica può avere un’evoluzione molto variabile che dipende sia dal virus sia dall’ospite, ma nel tempo può evolvere in cirrosi o epatocarcinoma, ossia il tumore maligno del fegato”. Per questo è necessario conoscere le modalità di trasmissione di questa patologia per fare prevenzione. “Il virus dell’epatite C – continua Picardi – si trasmette per via parenterale, cioè quando un oggetto che è stato a contatto con sangue infetto punge o taglia un soggetto non contagiato. Oggetti come bisturi, piercing, aghi per tatuaggi o utilizzati per l’assunzione di droghe possono quindi essere potenziali vettori”.

Proprio per questo negli Stati Uniti si è svolto uno screening sulla popolazione dei Baby Boomers, che sono stati maggiormente esposti a rischi di questo genere. In Italia, invece, si procede ancora a rilento. “Il genoma del virus C – prosegue Picardi – è costituito da RNA, una molecola piuttosto instabile, per cui il virus rimane nell’organismo finché può replicarsi. Oggi abbiamo a disposizione farmaci facilmente accessibili in grado di bloccare la replicazione virale con successo in oltre il 95% dei casi, per cui entro poche settimane gli epatociti infetti sono eliminati e il virus scompare, rendendo così possibile la guarigione”. Se le previsioni dell’Oms saranno rispettate, il traguardo dell’eradicazione potrebbe essere tagliato proprio a quarantuno anni dall’identificazione del virus C isolato per la prima volta nel 1989. “Il raggiungimento dell’obiettivo però – avverte Picardi – è subordinato alla capacità di identificare quelle persone non consapevoli dell’infezione. Una sfida complicata dal fatto che la malattia spesso non dà segnali della sua presenza”.